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Le vertigini sono dopo la cefalea il sintomo più frequente nell' ambulatorio neurologico ma anche in quello internistico/geriatrico. Il 40% delle persone di età superiore a 80 anni soffre di vertigini.
La maggior parte delle vertigini possono essere diagnosticate sulla base di un' accurata anamnesi e di un esame clinico- neurologico e non richiedono indagini strumentali sofisticate.
Un gran numero di vertigini conoscono una causa benigna, hanno un decorso favorevole e possono essere trattate con successo.

Tra le vertigini distinguiamo le vertigini fisiologiche (cinetosi, malattia di altitudine) dalle vertigini patologiche, in cui troviamo una sofferenza o lesione  dei nuclei vestibolari, cervelletto, tronco cerebrale).

In seguito un elenco della frequenza delle diverse vertigini:

  1. vertigini periferiche posizionali benigne (BPPV) 18,8%
  2. vertigini fobiche 16,0%
  3. vertigini vestibolari centrali 13,2%
  4. emicrania vestibolare 9,1%
  5. nevrite vestibolare 7,9%
  6. malattia di Meniere 7,4%
  7. vestibulopatia bilaterale 3,6%
  8. vertigini somatoformi 3,5%
  9. parossismia vestibolare 2,5%


Per vertigini si intende un disturbo fastidioso dell' orientamento spaziale o la percezione erronea di un movimento del corpo (rotazione, instabilità).

 


La raccolta precisa dell' anamnesi è fondamentale per porre una diagnosi corretta.
Si devono sempre approfondire i seguenti 4 punti:

1) tipo di vertigine

  • rotatoria come su un carosello (BPPV, neurite vestibolare)
  • oscillazione come su una barca (vestibulopatia bilaterale)
  • disturbo della marcia (spesso percepito come vertigine)
  • testa confusa, pesante


2) durata delle vertigini

 

3) Situazioni scatenanti/peggiorative/migliorative

 

4) Sintomi concomitanti

 

Dopo l' anamnesi si esegue l' esame clinico neurologico con particolare attenzione alla presenza di nistagmo, allo sguardo e alla coretta esecuzione delle saccadi.
Le funzioni vestibulospinali vengono valutate con il Romberg (posizione eretta a piedi uniti e ad occhi chiusi), la marcia ad occhi aperti e chiusi e la marcia tandem. Segue una valutazione grossolana dell' udito.
Se si sospetta un' origine centrale delle vertigini si deve eseguire un esame neurologico approfondito..

Alla fine possiamo richiedere le seguenti indagini strumentali:

  • TAC o Risonanza Magnetica del cervello
  • Eco Color Doppler dei tronchi sovraaortici
  • Elettronistagmografia e videooculografia
  • potenziali oculo-vestibolari evocati
  • posturografia
  • analisi della marcia

 

 

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Per sincope si intende und perdita di coscienza di breve durata con rilassamento muscolare

(il paziente perde il tono muscolare e cade per terra).

Le sincopi possono manifestarsi in ogni età, sia nella popolazione sana che ammalata e hanno di solito un buona prognosi.

 

Il medico ha il compito di differenziare tra le sincopi benigne e quelle potenzialmente pericolose, suscettibili ad una terapia specifica.

Si distinguono 4 tipi di sincopi:

 

 

1. Sincope neuromediata (i.e. vasovagale)

Sono le sincopi più frequenti e compaiono la prima volta in età pediatrica/giovanile e possono ripresentarsi da adulto ed in età geriatrica.

Sono favorite da determinate situazioni: postura prolungata in ambiente caldo e affollato, prelievo del sangue, dolori, stress psichico ecc. Sono di per se benigne ma possono causare traumi in caso di caduta. La prognosi è buona, diminuiscono di frequenza negli anni.

 

2. Sincope ortostatica

E` tipica della persona anziana e compaiono al passaggio dal clino- in ortostatismo o dopo postura prolungata.

Siccome la contrazione vascolare al passaggio in ortostatismo avviene in ritardo il sangue sprofonda nelle gambe. Ciò porta ad un calo pressorio in posizione eretta e quindi ad una ridotta perfusione cerebrale con successiva perdita di coscienza.

Compaiono con una certa frequenza in alcune malattie neurologiche degenerative (polineuropatia diabetica, morbo di Parkinson). Spesso vengono anche provocate dall’ assunzione di farmaci (p.es. alfabloccanti per problemi alla prostata, antiipertensivi, diuretici).

 

3 Sincopi cardiogene

Queste sono secondarie a cardiopatie strutturali (infarto pregresso, cardiopatie valvolari) o a problemi ritmologici.

 

4. Sincopi cerebrovascolari

Sono molto rare e non vanno scambiate con un‘ ischemia cerebrale che si accompagna molto raramente a perdita di coscienza.

 

Terapia:

Le sincopi cardiogene richiedono una terapia specifica (di solito Pacemaker o defibrillatore impiantabile).

Nella sincope ortostatica va modificata soprattutto la terapia farmacologica e i pazienti possono beneficiare di una terapia elastocompressiva. Il provvedimento più importante è però il passaggio lento dalla posizione supina a quella eretta.

Per le sincopi neuromediate non esiste una terapia farmacologica . Se sono presenti sintomi premonitori il paziente deve prenderne atto e accovacciarsi o sdraiarsi tempestivamente . Vanno evitate le situazioni scatenanti ove possibile. Inoltre il paziente deve bere a sufficienza e salare bene il cibo.

 

Diagnosi:

come nelle vertigini anche nelle sincopi la raccolta precisa dell’ anamnesi ci permette nella maggior parte di porre la diagnosi. Durante la prima visita vanno eseguite alcune indagini di base:

 

  • visita accurata con rilevamento della pressione e frequenza cardiaca, ascoltazione di soffi cardiaci
  • e vascolari
  • ECG di base
  • Esami di laboratorio: emocromo, creatinina, elettroliti sierici.
  • Ecocardiogramma

 

 

Nei casi più complessi sono necessari ulteriori indagini:

 

  • monitoraggio pressorio 24 ore (ABPM)
  • monitoraggio freq. cardiaca 24 ore (ECG Holter)
  • cicloergometro
  • ECD dei tronchi sovraaortici
  • Massaggio del seno carotideo.
  • EEG
  • Head up Tilting Table Test
  • Loop recorder impiantabile

Gastroscopia – esofagogastroduodenoscopia


CHE COS'E' LA GASTROSCOPIA?

La gastroscopia è un esame mediante il quale il Medico può esaminare il tratto superiore dell'apparato digerente (Esofago, stomaco e duodeno).
Permette anche di prelevare in modo semplice ed indolore campioni di tessuto da esaminare.
Il gastroscopio è un tubo flessibile di 8 mm di diametro con una telecamera alla sua estremità, che verrà introdotto attraverso la bocca nell'esofago e quindi nello stomaco e nel duodeno.

 

E' DOLOROSA?

La gastroscopia non è dolorosa, ma provoca comunque un certo fastidio.
Allo scopo di rendere l'esame più accettabile può rendersi necessaria la somministrazione di farmaci.

 

COSA FARE PRIMA DELL'ESAME?

Per la gastroscopia è necessaria la seguente preparazione: il digiuno da almeno 12 ore prima dell'esame, presentarsi con prove della coagulazione (INR, PTT, trombociti) e senza terapia anticoagulante/antiaggregante (Coumadin, Sintrom, Aspirina, Tiklid, Plavix, ecc.) da 2-5 giorni.

 

COME SI SVOLGE L'ESAME?

Prima di cominciare l'esame Le verrà chiesto di togliere, se presenti, occhiali e protesi o apparecchi dentari mobili.
L'esame viene eseguito in posizione laterale sinistra. Sarà posto in bocca un boccaglio per proteggere l'endoscopio.
Lo strumento verrà introdotto attraverso la bocca e fatto proseguire fino al duodeno (la parte di intestino che segue lo stomaco).
Verrà immessa dell'aria allo scopo di distendere le pareti ed avere una visione ottimale e ciò potrà provocare qualche fastidio.

L'esame durerà pochi minuti.

La percentuale di complicanze della gastroscopia diagnostica è inferiore al 4 per mille. Durante la gastroscopia possono essere effettuati la rimozione di oggetti ingeriti, l'arresto di sanguinamenti da ulcere e l'asportazione di polipi, come anche la dilatazione di restringimenti.

 

COSA DEVE FARE DOPO L'ESAME?

Per qualche ora continuerà ad avvertire una discreta sensazione di gonfiore addominale, che sparirà spontaneamente.

Dopo l'esame può alimentarsi liberamente. Nel caso siano state eseguite delle biopsie, dovrà evitare di assumere alimenti caldi per 2-3 ore.

Il Medico Le fornirà comunque tutte le informazioni necessarie.

 

Qualora, nelle ore successive all'esame, dovesse avvertire dolore addominale o notare l'emissione di feci nere, si metta immediatamente in contatto con il medico endoscopista o direttamente con la Casa di Cura S. Maria (Tel.: 0471/310600).

Malattie venose - funzione delle vene

Le vene hanno la funzione di trasportare il sangue al cuore. Siccome non sono dotate di una muscolatura propria, il ritorno venoso avviene attraverso la spremitura dei vasi da parte dei muscoli e la pressione negativa che s'istaura durante l'inspirio. Le valvole prevengono il rigurgito venoso.

Se la pressione della colonna di sangue è troppo elevata, la parete venosa si dilata e le valvole diventano incontinenti. Ciò comporta un ulteriore aumento del diametro e l'insorgenza di vene dilatate e tortuose (= varicose).

Distinguiamo le vene profonde dalle vene superficiali.
Le vene varicose fanno parte del sistema venoso superficiale; le vene profonde decorrono invece nei muscoli.

Le malattie venose più importanti sono:

  • La trombosi venosa profonda
  • La tromboflebite superficiale
  • L'insufficienza venosa cronica



La trombosi venosa profonda

È la patologia clinicamente più importante che necessita di una terapia farmacologica tempestiva. Quando si forma un coagulo di sangue (= trombo) nelle vene, questo può ostruire la vena parzialmente o completamente. La sede più frequente di trombosi sono le vene delle coscie e del bacino. Il distacco  del trombo causa un' embolia polmonare, che é la complicanza più temuta della trombosi venosa profonda che puó portare alla morte.

La gravità dell'embolia polmonare dipende dalle dimensioni del trombo e dal numero di vasi polmonari ostruiti. L'embolia polmonare è la terza causa di morte dopo l'infarto e l'ictus delle malattie cardiovascolari.

 

Fattori di rischio per la trombosi

1. Alterazioni del flusso:
Se il paziente è alettato o ha un arto immobilizzato viene a mancare la pompa muscolare che garantisce il ritorno venoso. Il flusso si rallenta e ciò può portare alla formazione di un trombo. Anche una compressione venosa dall'esterno (p. es. da parte di un tumore pelvico) può ostacolare il ritorno venoso.

2. Traumi della parete venosa:
La parete venosa può essere lesa da traumi o da interventi chirurgici. La superficie ruvida predispone all'apposizione di materiale trombotico.

3. Alterazione della composizione del sangue:

Queste alterazioni sono causate da:

  • Gravidanza
  • Terapia ormonale contraccettiva o sostitutiva
  • Malattie gravi con immbolizzazione protratta
  • Tumori e cancro
  • Trombofilie congenite o acquisite.

Nel 40% dei casi la trombosi si manifesta senza causa apparente (= trombosi idiopatica).

 

Diagnosi:

I sintomi non sono sempre univoci e possono mancare del tutto nel paziente alettato.

I seguenti sintomi fanno sospettare una trombosi:

  • Edema unilaterale di un arto
  • Dolori al polpaccio camminando
  • Arossamento e senso di tensione in un arto
  • Accentuazione del disegno venoso superficiale e colore violaceo dell'arto.

 

Se è presente uno di questi sintomi va immediatamente consultato il medico-


Metodi diagnostici

1) Tomografia computerizzata (=TAC):

La conferma della diagnosi di embolia polmonare si ottiene mediante TAC. Ciò comporta l'esposizione ai raggi X e richiede la somministrazione endovena di mezzo di contrasto. Questo può essere problematico in presenza d'insufficienza renale, di patologie della tiroide e di allergia al mezzo di contrasto.

2) Scintigrafia polmonare:
Un esame alternativo è la scintigrafia polmonare, che però viene eseguito soltanto in ospedali grandi e non è disponibile 24 ore su 24 . Anche questa indagine utilizza radiazioni ma in quantità minore.

3) Eco Color Doppler:
La trombosi venosa profonda viene invece diagnosticata in maniera indolore e priva di rischi tramite un Eco Color Doppler. La qualità dell'esame dipende molto dall' esperienza dell'esaminatore.

4) Flebografia:
Solo in casi eccezionali si ricorre ancora alla flebografia. Questa richiede l'iniezione di mezzo di contrasto nelle vene periferiche e utilizza i raggi X.

 

 

Terapia:

Luogo:
La terapia viene eseguita ambulatoriamente se si tratta di trombosi venose profonde ed embolia polmonare di lieve-media gravità. Il ricovero è necessario solo per i pazienti con embolia polmonare media - grave, pazienti con importanti comorbidità  o per pazienti anziani che dimostrano una scarsa collaborazione.

Obiettivo:
L'obiettivo primario della terapia è la prevenzione dell'embolia polmonare; il secondo invece è la prevenzione della sindrome posttrombotica che di solito s'istaura dopo anni.

Svolgimento della terpia:
Il paziente riceve uno o due volte al giorno un'iniezione di eparina sottocute. L'effetto di questo farmaco è immediato. Contemporaneamente viene iniziata l'anticoagulazione orale (Coumadin o Sintrom) il cui effetto si ottine dopo  qualche giorno.
Le iniezioni e le compresse vanno prese assieme, affinché il valore dell'INR (che indica la diluizione del sangue) risulta stabile tra 2-3.

Soltanto allora le iniezioni possono essere sospese. In questo periodo il paziente non deve stare a riposo ma può svolgere le sue solite attività.  Sforzi prolungati o attivitá più impegnative possono causare dolore all'arto colpito per cui si sconsigliano sforzi eccessivi durante le prime due settimane.

Durata:
La terapia anticoagulante viene assunta per un periodo che varia da tre mesi fino a un periodo indefinito. La durata dipende dall'entità della trombosi, dalla presenza di cause scatenanti e dal rischio di recidiva.

Terapia elastocompressiva :
Oltre alla terapia anticoagulante orale il paziente necessita anche dell'elastocompressione. Di solito è sufficiente il gambaletto, seconda classe di compressione.  Il gambaletto riduce l'edema, diminuisce il dolore e previene la sindrome posttrombotica con l'ulcera venosa.

Va indossato durante le ore diurne all'arto colpito. A distanza di sei mesi si può provare a lasciare via il gambaletto. Se l'arto non si gonfia o non fa male l' elastocompressione può essere sospesa. Altrimenti va portato per due anni. I pazienti che sono affetti da una sindrome posttrombotica devono indossare la calza per anni.

 

Domande e risposte:

Posso viaggiare in aereo?
La profilassi farmacologica va fatta soltanto per viaggi di durata maggiore a 8-10 ore. E' raccomandabile soltanto per il paziente con vene varicose o precedenti trombosi.
Nella maggior parte dei casi sono sufficienti i gambaletti elastici. Si consiglia comunque di muovere le gambe ripetutamente durante il volo.
Non è stato dimostrato che la profilassi farmacologica sia meglio di quella meccanica.

Posso continuare a prendere la pillola?
La pillola anticoncezionale aumenta il rischio di trombosi durante il primo anno di trattamento. Se la trombosi avviene dopo il primo anno, la causa non è da attribuire alla pillola.

La terapia deve essere interrotta durante la gravidanza?
Gli anticoagulanti orali sono controindicati in gravidanza, perché possono causare danni al feto. Per questo motivo va fatta una contraccezione oculata durante la terapia. La miglior cosa è di continuare la pillola durante il periodo dell'anticoagulazione perché il rischio trombotico viene controbilanciato dall'anticoagulazione orale.

Wann sollten Sie einen Rheumatologen aufsuchen ?
Nicht der Patient sollte entscheiden müssen, ob er einen Rheumatologen braucht, bzw. ob seine Beschwerden Hinweise auf eine rheumatologische Erkrankung sein könnten, sondern der Hausarzt sollte immer der erste und wichtigste Ansprechpartner sein.
Er muss entscheiden, wann er einen Fachkollegen der Rheumatologie beiziehen sollte.

Eine korrekte Diagnose ist der Beginn einer korrekten Therapie", nur wenn ich weiß, was ein Patient hat, kann ich ihn auch gezielt und effizient behandeln.
Blind und voreilig eingesetzte therapeutische Maßnahmen, ohne zu wissen, was der Patient eigentlich hat, sollten vermieden werden, denn sie verzögern oft die korrekte Diagnosestellung.


Da bei vielen rheumatischen Erkrankungen Medikamente zum Einsatz kommen, die potentiell mit beträchtlichen Nebenwirkungen behaftet sein können, sollte die Entscheidung bezüglich medikamentöser- physiotherapeutischer oder auch chirurgischer Therapie immer mit Ärzten abgesprochen werden, die eine große Erfahrung mit solchen Erkrankungen haben. Nur so kann für den jeweiligen Patienten, die für ihn „beste" Therapie gefunden werden.

Die Behandlung von Rheumapatienten erfordert häufig aber auch die interdisziplinäre Zusammenarbeit mehrerer Fachärzte, sowie die intensive Zusammenarbeit mit anderen medizinischen Berufen wie:

  • orthopädischen Chirurgen
  • Radiologen
  • Physiotherapeuten
  • Ergotherapeuten
  • Orthopädietechnikern
  • Psychologen
Entscheidend ist aber die Zusammenarbeit des Rheumatologen mit dem Hausarzt.
Dieselbe Erkrankung verläuft bei vielen Patienten unterschiedlich. Die meisten vermeintlichen Nebenwirkungen der Rheumamedikamente können durch gezielte Begleitmaßnahmen gelindert oder vermieden werden, ohne sie absetzen zu müssen."

Es wird in Südtirol immer wieder der Vorwurf erhoben, dass es zu wenige Rheumatologen gibt und dass die Wartezeiten für eine rheumatologische Visite viel zu lang seien. Auf der anderen Seite erleben wir Tag für Tag, dass viele Patienten zu uns kommen, die uns eigentlich gar nicht bräuchten. Deshalb ist es ganz entscheidend, dass die Hausärzte ihrer „Filterfunktion" gerecht werden.

Wann der Rheumatologe hinzugezogen werden sollte, ist relativ leicht zu beantworten.
Nicht jeder Patient mit Schmerzen im Bewegungsapparat muss gleich zum Rheumatologen.
Leichte Beschwerden die nach wenigen Tagen wieder verschwunden sind, sind noch kein Grund zur Beunruhigung.
Vielleicht haben Sie sich nur körperlich zu stark belastet, es kündigt sich eine Erkältung an oder Sie haben einfach nur einmal schlecht geschlafen.

Bei schwereren oder anhaltenden Beschwerden in Gelenken, Muskeln oder Knochen sollten Sie aber spätestens nach ein paar Tagen Ihren Hausarzt aufsuchen. Er wird dann entscheiden, ob ein rheumatologisch versierten Fachkollege hinzugezogen werden muss.



Die rheumatischen Erkrankungen werden allgemein in 4 Gruppen eingeteilt:

1. Entzündliche rheumatische Erkrankungen: Dazu gehören die rheumatischen Erkrankungen im engeren Sinne ( rheumatoide Arthritis, psoriatische Arthropathie, Morbus Bechterew, Kollagenosen, aber auch die Stoffwechselerkrankung Gicht etc.)

2. Degenerative rheumatische Erkrankungen: Das ist die große Gruppe der Arthrosen mit all ihren unterschiedlichsten Facetten (Fingerpolyarthrose, Hüft- und Kniegelenksarthrose, degenerativer Rückenschmerz, und viele andere)

3. Sogenannte extraartikulären rheumatischen Erkrankungen: Dazu gehören z.B.die Erkrankungen der Sehenscheiden, der Schleimbeutel etc.

4. Erkrankungen des Knochens und Knorpels: Dazu gehören alle angeborenen und erworbenen Erkrankungen dieser Gewebe, auch die Osteoporose gehört dazu und natürlich auch das Wissen um die gut- und bösartigen Erkrankungen (Neoplasien oder Tumorerkrankungen) von Knochen und Knorpel.

Diese Fragen sollte der Hausarzt seinem Patienten stellen:

  • Seit wann haben Sie Beschwerden ?
  • Können Sie sich Ihre Beschwerden erklären, hat es eine auslösende Ursache gegeben?
  • Gibt es bereits rheumatische Erkrankungen in der Familie?
  • Ist es das erste Mal, dass Sie diese Beschwerden haben?
  • Nehmen Sie regelmäßig Medikamente und welche?
  • Sind Gelenke gerötet oder geschwollen?
  • Sind Bewegungen schmerzhaft, und welche Bewegungen sind das, immer nur dieselben, oder tut „alles“ weh?
  • Haben Sie einen erholsamen Schlaf, oder wachen Sie nachts wegen der Schmerzen auf?
  • Wie lange brauchen Sie morgens, um wieder voll beweglich zu sein, oder nehmen die Beschwerden erst tagsüber wieder langsam zu?
  • Helfen Ihnen Schmerzmedikamente überhaupt, und wenn ja, welche am besten?

Ich lasse mir von meinen Patienten seine Beschwerden meist mehrmals schildern. Sie werden merken, der Patient beschreibt dann unterschiedlichste Varianten und oft merkt man erst nach und nach, was er wirklich meint.
Wenn Angehörige beim Gespräch dabei sind, beziehen Sie sie in das Gespräch mit ein, oft interpretieren die engsten Familienangehörigen die Dinge ganz anders.
Das ist vor allem dann wichtig, wenn „Stresssituationen“ vorliegen, oder der Patient „psychische“ Probleme hat. Dann führen Schmerzzustände häufig zu „unerträglichen“ Beeinträchtigungen, zu langen vermeidbaren Krankenständen oder zahlreichen unsinnigen Arztbesuchen.

Oft werden bei Patienten innerhalb wenigen Wochen immer wieder dieselben Laborbefunde durchgeführt aber es fehlen die „entscheidenden Werte“, welche zur richtigen Diagnose führen.
Eine gute Anamnese, eine vollständige körperliche Untersuchung und eine systematische Überlegung, was hinter den jeweiligen Beschwerden stecken könnte, ersetzt teure und unsinnige Untersuchungen.

Die Beschwerden eines Patienten sollten immer ernst genommen werden. Erst nach einem gewissenhaften Ausschluss organischer Erkrankungen, kann ich mit dem Patienten offen und ehrlich besprechen, dass prolongierte Stresssituationen jeglicher Art zu Beschwerden im Bewegungsapparat führen können.

Diese Fragen sollten sie dann mit dem Patienten erörtern:

  • Haben Sie Stress?
  • Liegen ernsthafte Probleme in der Familie oder am Arbeitsplatz vor?
  • Bestehen finanzielle Engpässe, die Sie belasten?
  • Habe Sie noch einen erholsamen Schlaf ?

Besonders häufig entwickeln gerade junge Mütter, die über Monate oder auch Jahre wegen der Kinder keine Nacht mehr richtig durchschlafen können, Schmerzen im Bewegungsapparat.
Bei alten Menschen hingegen führt Bewegungsmangel ganz unweigerlich zu chronischen Schmerzzuständen. Sie fühlen sich „starr“ und „unbeweglich“. Nachts im Bett sind sie aber meist beschwerdefrei, da Wärme als besonders wohltuend empfunden wird.

Was die Hausärzte beachten sollten!
Die Diagnose rheumatischer Erkrankungen ist gerade im Frühstadium nicht einfach.
Bei Persistenz von Beschwerden im Bewegungsapparat, sollten Sie sich die Zeit nehmen, den Patienten auch 2 und 3 mal im Abstand weniger Wochen gründlich zu untersuchen. Oft präsentiert sich „das Selbe“ innerhalb kurzer Zeit ganz anders, und ein Krankheitsbild kann sich innerhalb wenigen Wochen grundlegend verändern.
Hüten Sie sich davor zu glauben, dass ja „eh alles gleich geblieben ist“

Rheumatische Erkrankungen sind teilweise sehr komplex und ändern sich im Lauf der Zeit"

Die Therapien müssen deshalb immer den aktuellen Veränderungen angepasst werden und der „individuellen“ Krankheitsverlauf muss immer im Auge behalten werden.
Empfehlenswert sind daher regelmäßige Kontakte des Hausarztes und des Patienten zum Rheumatologen ihrer Wahl

Die fachgerechte Behandlung rheumatischer Erkrankungen erfordert vor allem ärztliche Erfahrung.
Der Patient sollte möglichst genau über seine Erkrankung, den Verlauf und die therapeutischen Möglichkeiten informiert sein.

Das sind die häufigsten Fragen des Patienten

  • Muss ich Medikamente einnehmen und welche Medikamente?
  • Wie lange muss ich Medikamente nehmen und in welcher Dosierung?
  • Gibt es Alternativen zu den Medikamenten, Umstellung der Ernährung, alternativ medizinische Maßnahmen etc. ?
  • Wie wichtig ist die physikalische Therapie ?
  • Was kann ich dazu beitragen, dass meine Erkrankung günstig verläuft ?
  • Wie groß ist die Wahrscheinlichkeit, dass ich in 10 oder 20 Jahren noch meine Arbeit werde verrichten können?
  • Komme ich in den Rollstuhl?

All diese Fragen beschäftigen sehr häufig den Patienten und durch gezielte und ausführliche Informationen kann man ihm die meisten Ängste nehmen. Glücklicherweise stehen uns heute effiziente Methoden in der Behandlung der meisten rheumatologischen Erkrankungen zur Verfügung.

"Nur was man ganz oft gesehen und behandelt hat, kann man immer besser den individuellen Bedürfnissen des Patienten anpassen“
Leitlinien sind wichtig, müssen aber auch Spielraum lassen, sind eben nur Leitlinien".

 

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Osteoporose, wenn der Knochen bricht

 

Die Osteoporose ist eine systemische Erkrankung des Knochens, die zu einer qualitativen Beeinträchtigung des Knochengewebes und damit zu einer erhöhten Brüchigkeit führt.

 

Patienten mit Osteoporose weisen ein erhöhtes Frakturrisiko auf, d.h. dass die Knochen dieser Patienten leichter brechen als bei Patienten ohne Osteoporose.
Die Diagnose der Osteoporose ist aber eine sehr komplexe, und sollte sich nicht nur auf die Bestimmung der sog. Knochendichte beschränken.
Die von der WHO festgelegte Definition von Osteoporose, die allein auf einer quantitativen Verminderung der sog. Knochendichte beruht, ist eine sehr einseitige, und reflektiert nicht die qualitativen Kriterien des Knochens.
Die derzeit zur Verfügung stehenden Untersuchungsparameter sind sehr unterschiedlich und widerspiegeln nur Teilaspekte unserer Knochenqualität.
Die Untersuchungsmethoden sind gleichfalls sehr unterschiedlich, die ermittelten Werte sind keineswegs miteinander zu vergleichen.

 

Es ist uns deshalb ein Anliegen, unsere Patienten umfassend über diese Erkrankung aufzuklären und ihnen bei der Beantwortung ihrer Fragen kompetent zu helfen:

  • Habe ich Osteoporose ?
  • Mit welchen Untersuchungen kann ich diese Frage am besten beantworten ?
  • Welches tatsächliche Risiko habe ich, dass meine Knochen brechen?
  • Was kann ich präventiv machen, damit ich keine Osteoporose bekomme?
  • Welche Rolle spielen Ernährung, Lebensstil, Bewegung?
  • Wann muss ich beginnen, Medikamente für die Osteoporose einzunehmen, wie lange muss ich sie einnehmen, und vor allem welche Medikamente?
  • In welchen Abständen soll ich meine Knochen untersuchen lassen und mit welchen Geräten?

 

 

Osteoporose

Die Osteoporose ist definiert durch eine niedrige Knochenmasse und Verschlechterung der Mikroarchitektur mit der Folge einer vermehrten Knochenbrüchigkeit.

 

Nach neuesten Daten sind in den westlichen Ländern ca. 25% aller Menschen > 50. Lebensjahr betroffen.

 

Menschen, die an einer Osteoporose leiden, brechen sich Knochen aus geringstem Anlass.
Wirbelkörper, Hüfte (z.B. Oberschenkelhals) und Unterarm sind besonders gefährdet, aber auch jeden anderen Knochen kann die Krankheit treffen.
Zu Beginn merken die Patienten selbst nicht, dass ihre Knochen immer brüchiger werden. Die Krankheit beginnt stumm. Ein erfahrener Arzt kann die Gefährdung, Knochenbrüche zu erleiden aber frühzeitig erkennen und notwendige Gegenmaßnahmen mit ihnen gemeinsam einleiten.

 

Tragisch ist: Nicht einmal ein Viertel aller Betroffenen werden rechtzeitig erkannt, geschweige denn wirksam behandelt.

 

Es drohen folgenschwere Knochenbrüche, chronische Schmerzen, Einschränkung der Lebensqualität, Behinderung, Pflegebedürftigkeit und hohe Kosten für Einzelne und die Gesellschaft.
Unser Ziel muss es sein, die Krankheit rechtzeitig zu erkennen und wirksam entsprechend dem individuellen Knochenbruchrisiko zu behandeln.

 

 

Deshalb: Werden Sie jetzt aktiv! Machen Sie den Risiko-Test

 

Sind Sie gefährdet?
Frauen und Männer erkranken besonders in der 2. Lebenshälfte an Osteoporose. Das Knochenbruchrisiko wird maßgeblich vom Lebensalter bestimmt und verdoppelt sich mit jedem Lebensjahrzehnt.
Wenn Sie eine oder mehrere der nachfolgenden Fragen mit „JA" beantworten, so besteht bei 20 % von Ihnen die Gefahr möglicherweise innerhalb der nächsten 10 Jahre einen Wirbelkörper- und / oder einen Hüftbruch zu erleiden!

  • Haben Sie bereits bei einer Bagatellverletzung einen Wirbelkörperbruch erlitten?
  • Haben Sie bei einer Bagatellverletzung eine periphere Fraktur (Arm- oder Beinbruch) erlitten?
  • Erlitten Vater oder Mutter einen Oberschenkelhalsbruch?
  • Rauchen Sie?
  • Ist bei Ihnen die körperliche Aktivität erheblich eingeschränkt, etwa durch Alter oder Lähmungen?
  • Besteht bei Ihnen ein Untergewicht mit einem Body Mass Index von unter 20 Kg / m²
  • Besteht bei Ihnen eine erhöhte Sturzgefahr? (Stürze ohne äußere Einwirkung mehr als einmal pro Jahr)

 

Gehören Sie zu den Gefährdeten bedeutet es aber nicht, dass Sie bereits an einer Osteoporose erkrankt sind. Ihr Arzt sollte aber eine Osteoporoseabklärung veranlassen.

 


Einteilung der Osteoporose

Bei der Osteoporose unterscheidet man prinzipiell 2 Formen, die sogenannte „primäre" Osteoporose, und die „sekundäre" Osteoporose

 

Primäre Osteoporose:
Primäre Osteoporose Typ I
Sie betrifft vor allem Frauen im Alter zwischen 50 und 70 Jahren. Hauptursache ist der beschriebene Mangel an Östrogen. Daher nennt man diese Art der Osteoporose auch „postmenopausale Osteoporose".
Sie führt am häufigsten zu Brüchen folgender Knochen:

  • Wirbelkörper
  • Elle und Speiche (die Unterarmknochen) und Oberarmkopf
  • Rippen
  • Oberschenkelhals

 

Primäre Osteoporose Typ II
Betroffen sind Frauen und Männer über 70 in gleichem Maße – daher auch die Bezeichnung „senile Osteoporose". Sie führt vorwiegend zu Brüchen der Röhrenknochen:

  • Oberschenkelhals
  • Unterarmknochen (Elle und Speiche)

 

Sekundäre Osteoporose
Davon spricht man, wenn die Osteoporose Folge einer anderen Grunderkrankung ist, beispielsweise eines Diabetes. Sekundäre Osteoporosen machen nur etwa fünf Prozent aller Fälle aus.

Die Fraktur des Wirbelkörpers ist die häufigste Fraktur bei Osteoporose (Schema einer normalen Wirbeläule in der Mitte, rechts Keilwirbelbildungen)

 

Sekundäre Osteoporosen
Es gibt zahlreiche Erkrankungen oder Medikamente, die ebenfalls mit einem erhöhten Osteoporose- und damit Knochenbruchrisiko einhergehen. Das Risiko ist unterschiedlich stark.

 

Die häufigsten Erkrankungen die zu einer Osteoporose führen können, sind:

  • Geschlechtshormonmangel beim Mann unterschiedlicher Ursache
  • Überproduktion von Cortisol
  • Überfunktion der Nebenschilddrüse Langzeitbehandlung mit Gluco-corticoiden (Tabletten / Spritzen über 7,5 mg Prednisolon oder gleichwirkendes Glucocorticoid täglich länger als 6 Monate)
  • Schwere chronische Nierenfunktionsstörung Insulinpflichtige Zuckerstoffwechselerkrankung (Diabetes mellitus Typ I) Verdauungsschwächen unter-schiedlicher Ursachen (z.B. Zöliakie, Bauchspeicheldrüseninsuffizienz, operative Magenentfernung ...)
  • Einnahme von Antiepileptika
  • Magersucht
  • Organtransplantation
  • Schilddrüsenüberfunktion
  • Chronisch entzündliche Darmerkrankungen (z.B. M.Crohn, Colitis ulcerosa)
  • Entzündlich rheumatische Erkrankungen Behandlung mit Aromatasehemmern bei Brustkrebs

 

Sekundäre Osteoporosen können jede Altersgruppe betreffen. Die Entscheidung zur Diagnostik wird vom Arzt individuell getroffen.

 

Basis-Diagnostik - bei wem?

Die Entscheidung, ob Ihr Arzt eine Osteoporosediagnostik (Basisdiagnostik) veranlasst, ist in erster Linie vom Alter abhängig. Da die Entwicklung der Osteoporose in entscheidender Weise vom Ausgangswert der Knochendichte beim Erwachsenen abhängt, empfehlen wir eine 1. Knochendichtemessung bei der Frau bei Eintreten in die Menopause.

 

Damit können wir den Knochenmasseverlust in den entscheidenden Jahren nach der Menopause besser beurteilen.

Bei Frauen mit normalen Knochendichtewerten zu diesem Zeitpunkt empfehlen wir Untersuchungen im 5 Jahres- Rhythmus, bei Patientinnen in pharmakologischer Therapie wegen bereits erniedrigter Werte bei Eintreten in die Menopause alle 3 Jahre.


Bei gesunden Männern ist eine 1. Dichtemessung mit 70 Jahren indiziert, bei Risikopatienten muß das individuelle Osteoporoserisiko abgeschätzt werden und die Diagnostik entsprechend früher durchgeführt werden.

 

Auf jeden Fall sollte eine Basisdiagnostik durchgeführt werden bei bereits stattgefundenen Frakturen nach Minimaltraumen, bzw. eindeutiger Familiarität für die Osteoporose.

 


Osteoporose - richtig diagnostizieren

Nach einer Reihe von Untersuchungen kann der Arzt feststellen, ob sie an einer Osteoporose erkrankt sind, wie hoch Ihr Knochenbruchrisiko ist und ob bei Ihnen eine Therapie erforderlich ist.

 

1. Krankheitsvorgeschichte:
Bei einem Arzt-Patienten-Gespräch wird festgestellt, ob Sie Risikomerkmale haben und zu dem Personenkreis zählen, der besonders häufig von Osteoporose betroffen ist, vielleicht schon typische Rückenschmerzen aufweisen und bei denen zu erwarten ist, innerhalb der nächsten 10 Jahre einen Wirbelkörper- oder Hüftbruch zu erleiden.

 

2. Körperliche Untersuchung
Es wird Ihre Körpergröße und Ihr Körpergewicht gemessen und daraus der Body Mass Index berechnet. Beurteilt werden auch mögliche Wirbelsäulenverformungen (Rundrücken), lokaler Druck- oder Klopfschmerz über einzelnen Wirbelkörpern sowie Muskelkraft und Gleichgewichtssinn usw. was Aufschluss über Ihr Osteoporose- und Sturzrisiko gibt.

 

3. Knochendichtemessung mit DXA
Osteoporose geht mit einer stark erniedrigten Knochendichte einher. Zur Messung der Knochendichte wird die als Standardmethode geltende DXA-Technik empfohlen. Ihre Knochendichte wird an der Lendenwirbelsäule und der Hüfte mit geringen Röntgenstrahlen gemessen. Das Ergebnis wird mit der durchschnittlichen Knochendichte von gesunden jungen Erwachsenen verglichen und mit dem so genannten T-Wert beschrieben. Er muss unter Berücksichtigung der anderen Untersuchungsergebnisse interpretiert werden zur Abschätzung des individuellen Knochenbruchrisikos.

 

Achtung: Quantitative Ultraschallverfahren oder andere Knochendichtemessungen z.B. quantitative Computertomographie können ebenfalls Aussagen zum Knochenbruchrisiko machen, sind aber derzeit noch Gegenstand wissenschaftlicher Untersuchungen und können momentan noch nicht allgemein empfohlen werden.

 

4. Basislaboruntersuchungen

Blutuntersuchungen klären, ob bei Ihnen andere Erkrankungen vorliegen, die die Entwicklung einer Osteoporose begünstigen.

Wir empfehlen insbesondere die Durchführung folgender Untersuchungen:

  • Blutbild, BSG, CRP
  • Gesamteiweiß und Serumelektrophorese
  • Blutzucker, Kreatinin, LDH, alkalische Phosphatase
  • Natrium, Kalium, Chlor, Calcium und Phosphor
  • Siderämie, Transferrin und Ferritin
  • Harnuntersuchung


(bei unklaren oder stark abweichenden Werten noch spezielle Zusatzuntersuchungen)

 

5) Röntgen der Wirbelsäule
Ziel der Röntgenuntersuchung von Brust- und Lendenwirbelsäule ist der Nachweis von osteoporotischen Wirbelkörperbrüchen und de Differentialdiagnose von Rückenschmerzen.

 

Geröntgt wird vor allem, wenn Sie:

  • Mindestens 4 cm kleiner geworden sind
  • Akute lokale, über Tage anhaltende oder chronische, bisher noch nicht abgeklärte Rückenschmerzen haben
  • Bei mehr als einem klinischen Risiko für Wirbelkörperbrüche.


Osteoporose – vorbeugen ist besser als behandeln

Die Osteoporose ist, wie bereits berichtet, vor allem eine Erkrankung der Frauen. Die Ursache dafür liegt in einer sehr viel geringeren Knochenmasse auch schon bei gesunden Frauen im Vergleich zu gesunden Männern.
Zudem wissen wir, dass es sehr wichtig ist, bereits in jungen Jahren viel Knochenmasse aufzubauen, die erreicht man einerseits durch eine ausgewogene Ernährung, anderseits duch regelmäßigen Sport und Bewegung.

 

Also:

  • Viel und regelmäßig sich bewegen, wobei vor allem Ausdauersportarten förderlich sind
  • ausgewogene Ernährung, viel Kohlenhydrate ( Knödel, Nudel, Reis, Polenta, Kartoffel.... ), regelmäßiger Genuß von Milch und Milchprodukten, viel Obst und Gemüse
  • Verzicht auf exzessiven Nikotingenuß (> 10 Zigaretten täglich) und Alkohol (> ½ l Wein oder Bier täglich)


Osteoporose - wirksam behandeln

Für eine wirksame Behandlung sind nachfolgende Maßnahmen erforderlich:

 

1. Basismaßnahmen

  • Bewegungstherapie Muskelkraft und Koordination
  • Sturzrisiken vermeiden
  • Meiden von Nikotin
  • Calcium / Vitamin D - Medikation bedarfsgerecht (Osteoporosepatienten, die bereits einen osteoporose-typischen Knochenbruch erlitten haben und Patienten, die voraussichtlich oder bereits über 6 Monate mindestens 7,5 mg Prednisolon (Glucocorticoid) täglich einnehmen müssen.

 

2. Psychosoziale Betreuung
Durch eine psychosoziale Betreuung von Patientinnen und Patienten nach Stürzen und Knochenbrüchen kann der Angst vor weiteren Knochenbrüchen, Schmerzen und Einschränkung der Mobilität entgegen gewirkt werden.
Die Vernetzung mit fachlich ausgewiesenen Selbsthilfegruppen und Patientenorganisationen ist zu empfehlen.

 

3. Behandlung von Schmerzen und funktionellen Einschränkungen

  • Nach einem Knochenbruch sollte schnellst-möglich eine Mobilisierung erfolgen.
  • Zur Schmerzlinderung stehen folgende Maßnahmen zur Verfügung:
  • Medikamentöse Schmerztherapie nach dem WHO-Schema (auch Opioide)
  • Physiotherapie
  • Wirbelsäulenaufrichtende Prothese
  • Rehabilitation (ambulant oder stationär)


Bei therapieresistenten Schmerzen in der Regel über 3 Monate ist nach interdisziplinärer Begutachtung eine Vertebro- oder Kyphoplastie (Einbringen von Knochenzement in den gebrochenen Wirbelkörper) zu erwägen.


Spezifische medikamentöse Therapie der Osteoporose

Bei der postmenopausalen Frau ist bei folgenden Medikamenten am besten belegt, dass die Gefahr von Wirbelkörperbrüchen nach einer dreijährigen Behandlung im vergleichbaren Umfang reduziert wird.

 

Osteoporosetherapeutika
- Bisphosphonate
- Östrogene
- Raloxifen Strontiumranelat Teriparatid
- Proteotact

 

Für Alendronat, Risedronat, Östrogene, Strontiumranelat und Teriparatid ist auch eine Verminderung peripherer Knochenbrüche belegt.

 

Knochenstabilisierende Medikamente

 

Alendronat und Risedronat
Gehören zu der Gruppe der Bisphosphonate. Sie verhindern einen übermäßigen Knochenabbau, stärken aber auch den noch vorhandenen Knochen.
Sie werden als Tabletten täglich oder einmal wöchentlich verabfolgt.

Alendronat ist auch zur Behandlung der Osteoporose des Mannes zugelassen. Alendronat und Risedronat können bei einer glucocorticoidinduzierten Osteoporose eingesetzt werden.

 

Ibandronat
Gehört ebenfalls zu der Gruppe der Bisphosphonate, wird aber nur einmal monatlich eingenommen.
Bei all diesen Präparaten sind die genauen Einnahmeempfehlungen zu beachten.
Im Sommer 2006 wurde Ibandronat auch als 3 – Monatsspritze zur Behandlung der Osteoporose zugelassen – eine Bewertung durch die DVO-Leitlinien-Kommision konnte aus Gründen des Zulassungszeitpunktes noch nicht erfolgen.

 

Zoledronat
Ist ein Biphosphonat, das man nur 1x pro Jahr in Form einer Kurzinfusion verabreichen kann.

 

Östrogene
Nach den Wechseljahren kommt es zu einem Abfall des weiblichen Hormons Östrogen. Eine Hormonersatzbehandlung – bei noch vorhandener Gebärmutter in Kombination mit einem Gelbkörperhormon – verhindert einen übermäßigen Knochenabbau.
Hormone werden aber heute bei Abwägen von Nutzen und Risiko (z.B. Brustkrebs; Herzinfarkt, Schlaganfall, Thrombose) primär nicht als Osteoporosetherapie eingesetzt, sondern bei Frauen mit Wechseljahrsbeschwerden.

 

Raloxifen
gehört zu den „Selektiven Estrogen Rezeptor Modulatoren" (SERM's), ist aber kein Östrogen oder Hormon. Raloxifen verhindert Knochenabbau und reguliert den Knochenstoffwechsel.
Raloxifen wird täglich als Tablette eingenommen.

 

Strontiumranelat
Fördert Knochenanbau und hemmt darüber hinaus einen übermäßigen Knochenabbau
Dieses Medikament wird täglich als in Flüssigkeit aufgelöstes Pulver verabfolgt.

 

Teriparatid
Ist ein Fragment des Nebenschilddrüsenhormons (Parathormon), das den Knochenaufbau und die Bildung neuer Knochenstrukturen fördert.
Es wird bei Frauen nach den Wechseljahren, die bereits einen Wirbelkörperbruch erlitten haben (manifeste Osteoporose) einmal täglich mittels eines „Pen" unter die Haut gespritzt und maximal über 18 Monate eingesetzt

 


Therapiedauer

Osteoporose ist eine chronische Erkrankung. Die Therapiedauer sollte deshalb mindestens 3 – 5 Jahre betragen – nach individueller Begutachtung – auch länger.

 

Wer ist zu behandeln?
Die Indikation für eine Osteoporosebehandlung bei Patienten mit einer „Primären Osteoporose" ist abhängig von dem Knochenbruchrisiko.
Das Knochenbruchrisiko wird beeinflusst durch das Lebensalter, das Ergebnis der Knochendichte, Risikofaktoren und ob bereits osteoporosetypische Wirbelkörperbrüche vorliegen.

 

 

Absolute Behandlungsindikation
Bei Patienten mit Wirbelkörperbruch, bei denen der T-Wert der DXA-Knochendichtemessung an der Lendenwirbelsäule oder dem Gesamtwert der Hüfte unter – 2,0 liegt oder wenn mehrere Wirbelkörperfrakturen vorliegen unabhängig vom T-Wert.

Innerhalb des ersten Jahres nach einem Wirbelkörperbruch ist die Gefahr weiterer Knochenbrüche besonders hoch. Eine rasche Therapieeinleitung ist deshalb notwendig


Therapieempfehlung bei einem hohen Frakturrisiko

Eine spezifische medikamentöse Osteoporose- Behandlung wird dann empfohlen, wenn das 10-Jahresknochbruchrisiko für Wirbelkörper – und Hüftfraktur über 30 % beträgt.

Bei Patientinnen zwischen dem 50. und 60. Lebensjahr ist das Frakturrisiko bei sehr niedrigen Knochendichtemesswerten von – 4,0 vergleichbar, dem einer 70 – 75 jährigen mit einem T-Wert von – 2,5.

 

Bei der Osteoporose des Mannes tritt ein vergleichbares Risiko erst ab dem 60. Lebensjahr ein.

Risikofaktoren können das Knochenbruchrisiko um eine Standardabweichung nach oben verschieben. Eine Therapie würde dann also bei einer 50 – 60 – jährigen Frau bereits bei einem T-Wert von – 3,0 statt ohne Risiko bei – 4,0 erfolgen.

 

Der Welt-Osteoporose-Tag 2004 war den Männern, das heißt der Osteoporose des Mannes, gewidmet. Wer bisher glaubte, Osteoporose sei eine reine Frauenkrankheit, wird eines besseren belehrt.

 

Osteoporosekranke Männer

20 bis 30 Prozent der Patienten mit osteoporotischen Frakturen sind Männer. Wissenschaftler gehen davon aus: Die Anzahl der betroffenen Männer wird in Zukunft aufgrund der zunehmenden Lebenserwartung und der veränderten Lebensweise weiter ansteigen.

 

Ursachen der Osteoporose bei Männern
Für Männer gibt es noch keine eindeutig belegten Risikomerkmale. Es ist aber anzunehmen, dass sich die Faktoren, die bei Männern zu Osteoporose führen können, kaum von denen unterscheiden, die auch bei Frauen Osteoporose auslösen.

 

Starke Risikofaktoren sind:

  • Zurückliegende oder aktuelle Knochenbrüche, die sich aus geringfügigem Anlass ereigneten
  • Verdacht auf Wirbelkörperbruch, z. B. wegen akut aufgetretenen anhaltend starken Rückenschmerzen oder Körpergrößenverlust von über 4 cm
  • Häufiges Fallen oder Stürzen (innerhalb von 6 Monaten zwei- oder mehrere Male)
  • Untergewicht (Bodymaßindex kleiner als 20) oder ungewollter Verlust von mehr als 10 Prozent des ursprünglichen Körpergewichts
  • Medikamente oder andere Erkrankungen, die zu Osteoporose führen können:
  • Über 6 Monate andauernde Einnahme von täglich 7,5 mg Prednisolon oder mehr (bzw. gleichwirkendes Kortisonpräparat), insbesondere bei entzündlich-rheumatischen Erkrankungen
  • Chronisch entzündliche Darm-Erkrankung (Morbus Crohn, Colitis ulcerosa)
  • Störungen der Nahrungsaufnahme im Verdauungstrakt (Malabsorptionssyndrom: zurückliegende Magenentfernung, Sprue)
  • Alkoholismus
  • Überfunktion der Nebenschilddrüse
  • Überfunktion der Schilddrüse
  • Diabetes mellitus Typ I
  • Stark geschädigte Nierenfunktion
  • Blutarmut wegen Vitamin B12-Mangel
  • Einnahme von Medikamenten (Phenytoinen) gegen Epilepsie
  • Zurückliegende Organtransplantation

 

Schwächere Risikofaktoren sind:

  • Familiäre Veranlagung (Verwandte mit Osteoporose, Rundrücken, Unterarm-,
  • Wirbelkörper- oder Schenkelhalsbruch)
  • Éntzündlich-rheumatische Erkrankungen
  • Calcium- / Vitamin D-Mangel
  • Starkes Rauchen (mehr als 20 Zigaretten täglich)
  • Bewegungsmangel, insbesondere bei Bettlägerigkeit, körperlicher Behinderung
  • Testosteronmangel (männliches Sexualhormon):

Eine besondere Rolle spielt das männliche Hormon Testosteron. Es fördert den natürlichen Muskel- und Knochenaufbau und trägt dazu bei, dass das Skelettsystem belastbar bleibt.

Steht dem Mann nicht genug Testosteron zur Verfügung, kommt es innerhalb weniger Wochen zum Knochenschwund (Osteoporose).

 

Zu Testosteronmangel kann es kommen:

  • Nach Viruserkrankungen (wie zum Beispiel Mumps), die die Hoden so schädigen, dass nur noch geringe Testosteronmengen produziert werden
  • Bei Funktionsstörungen der Hirnanhangdrüse
  • Nach Entfernung der Hoden (zum Beispiel nach Prostatakrebs)
  • Abnehmende Testosteronproduktion im Alter

 

Die Osteoporose-Abklärung bei Männern

Wie bei Frauen muss auch bei Männern eine sorgfältige Risikoerhebung und Ursachenabklärung durchgeführt werden. Im Bedarfsfall wird bei Männern zusätzlich der Testosterongehalt im Blut bestimmt. Häufig ist bei Männern auch eine Knochenprobe (Biopsie) sinnvoll.

 

Die Behandlung osteoporosekranker Männer

Als „Basistherapie" sind die ausreichende Gabe von Calcium / Vitamin D sowie Muskelaufbautraining und Sturzprophylaxe neben hormonersetzenden bzw. knochenstabilisierenden Medikamenten unverzichtbar. Zur Therapie der Osteoporose des Mannes ist das hoch wirksame, knochenstabilisierende Bisphosphonat Alendronat zugelassen. Ist Testosteronmangel an der Entstehung der Osteoporose beteiligt, kann (zusätzlich) eine sexualhormonersetzende Therapie erwogen werden. Dies muss der Arzt mit dem Betroffenen und ggf. auch mit der Lebenspartnerin detailliert besprechen. In wissenschaftlichen Studien wurde gezeigt, dass das Bisphosphonat Alendronat auch bei Männern wirksam ist, bei denen ein Testosteronmangel an der Entstehung der Osteoporose beteiligt war. Bei Alendronat beträgt die Behandlungsdauer in der Regel zwei bis drei Jahre.

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